Edoardo Siravo e il suo lungo legame con Vanessa Gravina

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EDOARDO SIRAVO: “HO AMATO VANESSA GRAVINA PER DIECI ANNI, MA ORA CI LEGA SOLO IL TEATRO”

«La storia con Vanessa Gravina è durata dieci anni e benché sia finita, dopo aver condiviso un tratto così lungo di vita insieme, sarebbe da ipocriti dire che siamo semplicemente amici. Ci unisce un rapporto che è un misto di affetto, stima, amore fraterno e tante altre cose che neanche io capisco».

Edoardo Siravo si confessa sulle pagine “virtuali” di PALCOSCENICO, parlando della lunga storia con l’attrice Vanessa Gravina, finita circa tre anni fa e dei suoi progetti teatrali. Dopo essersi fatto conoscere al grande pubblico nella soap “Vivere” vestendo i panni del burbero commissario Vincenzo Leoni, in questi anni ha confermato la sua polarità con varie fiction, ultima, in ordine cronologico, “Distretto di Polizia” con Claudia Pandolfi, ma Edoardo Siravo nasce da una lunga tradizione teatrale.

«Ed è proprio il teatro che continua ad unirmi a Vanessa Gravina» continua l’attore nel suo racconto «lei e mie figlia, Silvia Siravo, sono le mie partner ideali in scena. Ci conosciamo così bene in ogni minima sfumatura della voce, tanto da creare una intesa perfetta».

Quando l’amore finisce in una coppia, ci sono spesso dei rancori, delle gelosie. Invece tra lei e la sua ex compagna, sembra non essere cambiato niente, continuate a lavorare insieme, collezionando successi…

«Io e Vanessa siamo legati da un rapporto profondo, anche se tra noi è finita l’attrazione e la passione, è rimasto un grande affetto. Io ci sarò sempre per lei e poi la considero una brava attrice e sarei uno stupido a privarmi di una partner come lei sul lavoro».

In questo momento la vediamo soprattutto a teatro, non sente la mancanza della televisione, o del cinema?

«Viviamo in Italia un periodo di profonda crisi, non solo economica, come tutti sappiamo, ma anche artistica. Si fanno poche cose di qualità in televisione e pochissime al cinema e gli attori che lavorano sono quasi sempre gli stessi. Poi, chi ha fatto tanta televisione, viene discriminato dall’ambiente del cinema e chi ha fatto tanto cinema, guarda con scetticismo le serie tv. Solo il teatro è una specie di zona franca in cui conta unicamente la bravura».

Perché ha deciso di fare l’attore e quali sono stati i tuoi esordi?

«Il motivo per cui ho di deciso di fare l’attore è abbastanza misterioso. Con gli anni ho pensato che tutto nasca dal desiderio di vincere una profonda timidezza attraverso l’espressione di un altro diverso da se stessi. Gli esordi sono stati quelli di un ragazzo che tra la parrocchia e le esperienze comuni amicali, ha scoperto di avere in se questa voglia e un certo tipo di attitudine. Dopo di che, le prime esperienze teatrali professionali fino all’accademia di arte drammatica “Silvio d’Amico” e da lì poi la professione».

Ha lavorato con dei “mostri sacri”, ci puoi raccontare qualche aneddoto?

«Di tutti potrei raccontare qualche episodio che ne definirebbe il carattere e la straordinarietà della loro natura. Sono stati dei grandi non solo per le loro capacità, ma anche per le loro qualità e per i loro difetti umani. Fra i tanti aneddoti forse merita uno che avvenne con Randone quando, subito dopo la prima di un “Edipo Re” in cui lui era stato uno straordinario Tiresia, lo andai a ringraziare in camerino per le sensazioni che mi aveva dato in palcoscenico avendo avuto l’onore di scambiare delle battute con lui. Dopo vari ringraziamenti e complimenti, non sapendo più che cosa dire, mi congedai dicendogli “commendatore, ci vediamo domani”. La sua risposta fulminante fu: “A perché, lei torna pure domani?”».

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