“Red Eye” di Wes Craven e l’incubo svela la maschera

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Wes Craven con “Red Eye” si cimenta per la prima volta, e con successo, in una tipologia di film che avrebbe sempre voluto girare: il thriller psicologico. Un genere molto diverso, quindi, dai vari “Nightmare – Nuovo incubo” o dalla saga di “Scream” che abbiniamo immediatamente alla firma di questo grande regista americano che ha reinventato e arricchito l’immaginario collettivo di nuove icone orrorifiche.

Soltanto che stavolta il regista di Cleveland abbandona le maschere plateali alla Freddy Krueger, proponendoci il disvelamento progressivo di maschere emozionali che celano la doppiezza o il vero volto dei personaggi principali: Jackson Rippner (un nome che è tutto un programma), magistralmente interpretato da Cillian Murphy, e Lisa Reisert, portata sul set dall’affascinante e convincente Rachel McAdams.

Ma ecco come lo stesso Wes Craven, incontrato all’Hotel Hassler di Roma in occasione della conferenza stampa del film, ci ha spiegato questo tratto fondamentale della pellicola: “In tutta la prima parte del film vediamo che i personaggi principali indossano sempre una maschera, anche se è una maschera emotiva. Il protagonista maschile, Jackson Rippner, ad esempio, vuole apparire come una persona normale, come un uomo romantico, anche se così non è. Quindi abbiamo a che fare con il concetto astratto di maschera, che cadendo svela una natura insospettabile. Questo accade soprattutto nel secondo tempo del film, in cui scopriamo finalmente anche ciò che si cela dietro alla protagonista femminile, Lisa Reisert. La giovane donna, infatti, è sicuramente una donna d’affari competente, che però poi svela la maschera della sua vulnerabilità, poi la maschera della sua rabbia interiore e infine quella della sua forza. Il tutto in un crescendo che accompagna anche lo svelamento delle vere intenzioni di Jackson. Tra gli altri aspetti – ha concluso Craven – compresa l’intrigante atmosfera claustrofobica presente nella prima parte, è questo ciò che mi ha affascinato nel girare Red Eye”.

L’elemento claustrofobico a cui Craven si riferisce costituisce a tutti gli effetti la parte più avvincente del film. E, al contempo, la più difficile da girare, in quanto Lisa e Jackson sono racchiusi nel ristretto spazio della cabina di un aereo in volo. Il tutto, accentuato dal fatto che i due protagonisti siedono l’una a fianco all’altro. E quando Jackson, gettando la maschera, sfodera con estrema violenza l’arma del ricatto nei confronti della donna, Lisa si sente ancor più prigioniera in quell’ambito già di per sé angusto e senza vie d’uscita. L’eccezionale abilità di Craven, in queste lunghissime sequenze interne d’aereo, è stata quella di sfruttare le ridotte capacità d’ambiente e d’azione a proprio vantaggio, per far salire la tensione di una vicenda apparentemente senza scampo. Pochi altri registi, giovani o meno, sarebbero riusciti a fare altrettanto

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