Al cinema dal 6 giugno: “WALESA. L’UOMO DELLA SPERANZA” di Andrzej Wajda

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Recensione di Osvaldo Contenti

Trama

Il giornalista Osvaldo Contenti

Nel 1981, la giornalista italiana Oriana Fallaci (Maria Rosaria Omaggio) intervista Lech Walesa (Robert Wieckiewicz), leader del sindacato Solidarnosc, un movimento di massa in aperto contrasto con il regime autoritario polacco che in quegli anni soffocava ogni tipo di libertà. Quella storica intervista, nel film di Andrzej Wajda fa da perno al sofferto percorso umano e politico di Walesa, che da semplice sindacalista, nel 1990, diverrà addirittura Presidente della Repubblica di Polonia.

Molti storici asseriscono che il successo riscosso dal movimento sindacale di Solidarnosc, sin dagli anni ottanta, rappresentò una sorta di irreversibile effetto domino, che alla fine della sua corsa travolse ogni regime autoritario, anche molto al di là dei confini polacchi, sino a provocare il lento abbattimento della culla del comunismo: l’allora Unione Sovietica.

Per cui, al di là dei grandi meriti del film, di cui bisogna dare atto ad un ottimo regista come Andrzej Wajda, vien da dire che “WALESA. L’UOMO DELLA SPERANZA” dovrebbe essere visto soprattutto dalle nuove generazioni, perché se i ragazzi di oggi possono percepire l’Europa come una parte del mondo in cui vige la libertà di pensiero e di parola, questo lo si deve anche a quel piccolo, eppur grandissimo uomo, che di nome fa Lech Walesa.

Per questo, quando lo scorso 5 giugno Walesa ha fatto il suo ingresso in una sala dell’Hotel Sofitel di Roma adibita per la conferenza stampa del film, presieduta dall’Ambasciatore della Repubblica di Polonia presso la Santa Sede, Piotr Nowina-Konopka, da parte di tutti noi giornalisti è partito un lunghissimo e scrosciante applauso, come segno di riconoscenza per quel minuto uomo baffuto, che con il suo coraggio e la sua perseveranza ha fatto sì che oggi si possa parlare di Europa come un esempio di democrazia che abbraccia quasi tutto il nostro continente.

Occorre dire altro per portarvi a vedere questo film? Non credo proprio. Perché certe opere cinematografiche si promuovono da sé, per il portato storico e umano che trasuda da ogni centimetro delle loro pellicole.

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