Mister Elmi – Un “Cesare” al servizio del Calcio

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Cesare Elmi, classe ’76 è l’attuale allenatore dei Pulcini 2010 del Vigor Perconti a Roma, ma oltre ad essere un bravo Mister, ha avuto un passato importante nel mondo del calcio. La sua vita è stata quasi uno scontro tra il suo grande talento come calciatore e l’amore per la famiglia: “Il mio treno non è passato solo una volta, ma molte di più, ma alla fine ho preso un’altra strada…”.

Cesare Elmi è uno di quei Mister che sanno essere autorevoli e simpatici allo stesso tempo, i bambini lo adorano e si vede da come viene accolto ogni volta che arriva in campo. Schietto e sincero, sprona i suo ragazzi a dare il meglio e a crescere come atleti:

“Quando faccio il Mister dei ragazzi più piccoli, metto un po’ in pratica quello che tanti anni fa i Mister facevano con me, quando ero piccolo…”.

Ma tu Cesare, quando hai iniziato a giocare a calcio?

Ho iniziato a 5 anni e mezzo, spinto da chi mi aveva visto giocare con gli amici e aveva intuito in me qualcosa di positivo dal punto di vista calcistico. Giocavo alla Spes San Lorenzo a Roma e spesso mi facevano anche giocare in categorie superiori come i Pulcini. Dopodiché arrivato agli Esordienti, ho cambiato società per avvicinarmi di più al quartiere in cui abitavo, la Garbatella.

Mamma e papà avevano un’attività e per me era complicato andare tutte le volte coi mezzi pubblici fino al San Lorenzo. Funzionava così: dei genitori di amici mi accompagnavano alla fermata dell’autobus e al ritorno trovavo sempre alla fermata, nonna che mi aspettava. Mamma e papà pur avendo visto che avevo giudizio e carattere, erano un po’ preoccupati ed hanno così deciso di farmi avvicinare.

Alla fine però, mi sono allontanato ancora di più da casa, perché un Mister mi ha voluto fortemente portare a giocare all’Acotral. Ci vedevamo ad un punto di ritrovo al Tiburtino Terzo e lui passava a prendere sia a me che altri compagni e andavamo insieme al campo.

Mamma e papà avevano un negozio e un banco di fiori all’Alessandrino e mi accompagnavano quando potevano, con tanti sacrifici. Crescendo ho girovagato per un po’ di società, fino a che non mi sono avvicinato all’Alessandrino Calcio. Il mio nome cominciava a girare, anche perché con la mia squadra avevamo vinto un campionato, ed eravamo alle finali, feci una bellissima stagione e lì ho avuto gli occhi addosso di diverse importanti società. Avevo circa dodici anni e mi comprò l’Ostia Mare.

Cesare Elmi con la squadra all’Ostia Mare

Dunque a soli dodici anni è partita la tua carriera come professionista?

In un certo senso sì, perché ero stato comprato in una squadra importante a Roma. Anche in quel caso, per arrivare in campo ad allenarmi, la strada era abbastanza lunga: dovevo prendere il trenino da solo e anche se già grandicello, la sera al ritorno dovevo stare molto attento. Quando poteva mi accompagnava papà, però sai, un po’ per la sua attività, un po’ perché ho altri due fratelli, non sempre era possibile.

E come andò all’Ostia Mare?

All’Ostia Mare feci una grande annata, vincemmo il campionato e mi misi in mostra come trequartista/rifinitore/mezza punta, anche se mi facevano spesso giocare come ala tornante in avanti (alla Bruno Conti per intenderci), con gli schemi di oggi in un attacco a tre sarei stato un esterno alto a destra. Feci un bellissimo campionato e a quattordici anni mi comprò la Roma, pensa che all’epoca il responsabile della scuola calcio era il papà di Giannini.

Cesare Elmi quando giocava alla Roma

Essere comprato dalla Roma è un po’ il sogno di tutti i ragazzi che giocano a calcio…

Sì, era anche il mio sogno, ma se devo essere onesto, tornassi indietro, un passo del genere non lo farei mai più. Non perché sia stato male, ma eravamo tanti, circa una trentina, e tutti bravi. In questi contesti, la media è necessariamente alta e tolto il Totti della situazione, che già faceva faville a suo tempo, eravamo tutti allo stesso livello ed era difficile farsi notare. Come ti dicevo, con il senno di poi, non rifarei quella scelta, considerando anche che l’Ostia Mare aveva avuto per me un forte interessamento di altre società Professionistiche (Perugia, Empoli, Inter), forse avrei optato diversamente, sarei andato in una squadra “più piccola” ma con maggiori occasioni di mettermi in luce. Ma la lontananza bloccava le mie scelte…

Non ti piaceva l’idea di andare a giocare fuori dalla tua città?

Proprio così, il fatto di dovermi allontanare troppo ha condizionato le mie scelte e frenato la mia carriera. La mia croce e delizia è proprio qui: io vengo da una famiglia molto unita, i miei genitori già da quando eravamo piccoli ci hanno sempre resi partecipi di tutto, qualsiasi cosa accadesse nella nostra famiglia e siamo cresciuti in fretta per l’età che avevamo e ciò è stato da una parte positivo, ma dall’altra negativo, perché questa grande complicità rendeva difficilissimo staccarci l’uno dall’altro.

Personalmente questo forte attaccamento mi ha penalizzato moltissimo, soprattutto quando ho iniziato a fare le categorie che contavano e dovevo stare spesso fuori casa.

Cesare Elmi al Percile Calcio

Tra i ragazzi che giocavano con te, qualcuno è riuscito a diventare un calciatore di serie A?

Tra i ragazzi della mia età che giocavano alla Roma, c’erano tanti talenti, che poi per un motivo o per un altro non sono arrivati. Ed è un mistero, a parte Francesco Totti e Fabrizio Romondini, nessuno ce l’ha fatta anche se erano calciatori davvero forti.

Dopo la Roma in che squadra hai giocato?

La Roma mi ha dato in prestito al San Lorenzo, e lì secondo me a livello calcistico, ho fatto una delle mie più belle stagioni, forse la più bella in tutto e per tutto, mosso da una voglia di rivalsa e di arrivare ai massimi livelli. Sono così tornato a mettermi in luce ed ho ricevuto l’offerta di andare a Marino per il campionato Interregionale, la serie D per intenderci. Venni cercato da mister Marco Ippoliti, che adesso allena la rappresentativa del Lazio, un allenatore veramente valido e competente a tutto tondo, titolato e vincente. Andai in ritiro con l’Interregionale e quando dovevo dare una mano alla squadra Juniores andavo il sabato, però in linea di massima ero in pianta stabile nella Prima squadra. Poi lì, dopo una buonissima annata, ebbi la mia fortuna calcisticamente parlando, ed arrivarono parecchie offerte tra cui quella del Potenza, Nocerina e Avellino per la serie C.

E quale squadra hai scelto?

Alla fine mi sono ritrovato in serie C nella Prima squadra della Nocerina, comprato per cinquanta milioni di Lire e scelto dal povero Antonio Simonetti, che è venuto a mancare poco tempo fa. Lui stravedeva per me e me lo disse diverse volte anche in privato. Poi dalla fortuna di trovare le porte aperte del professionismo a diciassette anni, c’è stata questa sfortuna di sentire in maniera troppo forte la mancanza di casa. Io non mi ero mai allontanato dalla mia famiglia, a parte qualche weekend con gli amici, e quando mi sono ritrovato lontano da casa, ho sofferto moltissimo questo spaesamento, nonostante fossi strasostenuto e aiutato da dirigenti e compagni di squadra, che avevano grande considerazione di me, come tutti del resto.

E cosa è successo?

L’inizio fu scoppiettante, avevo una voglia di calcio assurda, carico a mille, poi dopo circa un mese e mezzo ho accusato questa nostalgia e dopo circa tre mesi sono scappato per tornare a Roma, dai miei genitori.

Vuoi dire che sei scappato dalla Nocerina?

Sì, una sera ho fatto la valigia e sono andato via, ricordo che a mezzanotte e mezza mi ritrovai alla Stazione Tiburtina che chiamavo mio padre. Mi mancava tutto. Lo stare in famiglia, i miei genitori, i fratelli, detto così, può sembrare stupido, ma chiunque abbia conosciuto la mia famiglia, ha sempre riconosciuto e capito la nostra forte unione. Ancora oggi ci aiutiamo a vicenda, abbiamo un rapporto d’amicizia e complicità vera tra noi, anche per la poca differenza di età che ho con mia madre che mi ha avuto a soli sedici anni e mezzo.

Insomma ti sei sentito solo a Nocera…

Proprio così, e premetto che la società in me ha investito creandomi un fortino d’affetto e di rispetto, mi difendeva e proteggeva da tutto, ero trattato come un re. Difficilmente riuscivo a pagare qualcosa, ero servito e riverito perché in me credevano davvero. Ricordo il giorno della firma del contratto col Direttore Generale, c’era mio padre (perché ero ancora minorenne) e il mio procuratore e in quell’occasione il Direttore Generale della Nocerina mi disse: “Se vuoi posso anche scrivertelo col sangue, ma io voglio tenerti un anno, massimo due e poi ti vendo a un club di serie A o B e questo per due motivi: il primo è che sei veramente bravo, hai colpi e giocate da grande giocatore, e il secondo è che abbiamo investito tanto su di te, e quindi è per noi importante rientrare di questa spesa. Io sono già in parola col Parma e andrai a Febbraio in prestito per fare il Torneo di Viareggio”. Tutto questo ancora prima di firmare perché loro mi conoscevano bene, erano venuti a Roma per vedere come mi allenavo, hanno voluto conoscere la mia famiglia, poi sono anche venuti a dei raduni organizzati qui e a Napoli e oltre alla Nocerina c’erano già diverse squadre interessate, ma lui già aveva preparato e programmato un futuro ad alti livelli.

E per l’amore che ti lega alla tua famiglia, hai rinunciato al tuo futuro come calciatore?

Sai, dicono che il treno passi una volta sola, invece per me passò diverse volte, tant’è che poi in preparazione, facemmo un’amichevole con l’Avellino che giocava in B, una buonissima squadra con giocatori di livello come Landucci, Esposito, Ferrazzoli, io giocai gli ultimi 25 minuti e giocai ad alto livello, presi anche un palo e l’Avellino, forse sapendo che ero andato via da Nocera, mi chiamò, mi volevano con loro in Serie B. Ma la sfortuna volle che pochi giorni prima io avessi firmato un contratto con la Vastese, che doveva giocare il turno di Coppa Italia Primavera contro la Roma. Accettai la proposta e scesi subito in campo per giocare, anche se la Vastese purtroppo non era una società forte economicamente, tanto che poco dopo fallì e ripartì dalla serie D.

Hai dovuto rifiutare la proposta dell’Avellino?

Con molto dispiacere sì. Quando mi chiamò l’Avellino gli dissi che ero davvero dispiaciuto, anche se alla Vastese feci un campionato buono, togliendomi qualche soddisfazione. Dopodiché cominciai a girare nel Lazio in squadre che giocavano nell’Interregionale, ad esempio il Guidonia calcio.

Ad un certo punto però, ho dovuto prendere una decisione, ormai stavo diventando grande e dovevo trovarmi un lavoro, perché le proposte economiche cominciavano a diminuire.

Non potevi giocare a calcio e in contemporanea fare un altro lavoro?

Per un po’ di tempo ho cercato di fare così, ma poi ho capito che non potevo continuare.

Fare il calciatore era il mio sogno da bambino e in un certo senso lo avevo anche realizzato, poi diciamo che è andato a svanire in fretta, forse anche per colpa mia.

Ma è andata così e forse così doveva andare.

Qualche rimpianto c’è, certo, però mi reputo una persona fortunata, perché ho accanto l’amore forte di una famiglia e non c’è cosa più bella per un essere umano. In ogni caso, grazie al calcio ho conosciuto una persona che mi ha dato la possibilità di fare il lavoro che faccio adesso, la guardia giurata e sempre grazie al calcio che ho avuto la possibilità di allenare i bambini e negli occhi di alcuni di loro, vedo i miei stessi sogni e il mio stesso amore per il pallone.

Oltre Totti, quali sono i giocatori che hai incontrato nella tua carriera e che si sono poi affermati?

Quando ero a Vasto ho incontrato tantissimi calciatori: Montella a Empoli, Gattuso e Lucarelli a Perugia, Zanetti alla Fiorentina, la Lazio aveva uno squadrone con Nesta, Di Vaio, Iannuzzi, Roma in porta, divennero campioni d’Italia non a caso.

E il difensore più forte che hai affrontato?

Nesta, senza dubbio. Mi ha riempito di botte, calcisticamente parlando, però gli ho fatto vedere i sorci verdi per dirla in romanesco. Stessa cosa Gattuso a Perugia.

Il giocatore più bravo che hai conosciuto?

Sicuramente Montella! Quando era ad Empoli era qualcosa di straordinario, imprendibile. Alla Vastese avevamo un difensore davvero forte che non faceva complimenti e, o con le buone, o con le cattive, riusciva a fermare tutti. Beh. alla fine del primo tempo contro l’Empoli, eravamo sotto di due gol, ed entrambi erano stati segnati da Montella, ci fece venire il mal di testa! Ma stesso discorso potrei farlo per Morfeo, altro grande talento.

E Totti?

Un predestinato! Assolutamente! Ricordo quando mi chiamò la Roma dall’Ostia Mare per una prova, c’era anche lui che giocava con gli Allievi Nazionali e già allora si vedeva che era di un’altra categoria, un altro passo rispetto agli altri e già il suo nome girava negli ambienti calcistici. Per certi versi, anche lui, come me, poteva stare solo a Roma, perché il suo modo di intendere la famiglia è davvero vicino al mio. Ho conosciuto i suoi genitori perché venivano agli allenamenti e posso dirti che le nostre famiglie si somigliano tantissimo. Io vengo da una famiglia umile, ma allo stesso tempo piena di valori, ed ho avuto la fortuna di essere romano da tante generazioni, un romano doc insomma! Quindi quel carisma, quei valori e quell’affetto familiare se non ce l’hai dentro, non puoi capirlo. Oggi pagherei oro per tornare indietro, però allo stesso tempo mi sono creato altre fortune in ambiti diversi, quindi è andata bene così.

Come ti sei riaffacciato al calcio da allenatore?

Al calcio sono tornato perché abitavo a Ponte di Nona e lì c’era un campo sportivo che avevano trascurato. Ricordo che il presidente Mimmo Gaglio ancora oggi attuale presidente, una bravissima persona, decise di investire su questa struttura e così ripulirono tutto, il Centro divenne bellissimo tanto che oggi, la stessa Federazione, lo usa per gli stage. Forse insieme alla Borghesiana è uno dei pochi Centri che ha i campi in erba vera. Lì avevo qualche amico all’interno che giocava, e mi coinvolsero in qualche partita, così accettai, misi di nuovo gli scarpini e ricominciai ad allenarmi. Nel frattempo entrai in buona confidenza col Presidente che mi propose di intraprendere una carriera di allenatore. All’inizio ero un po’ di titubante, poi, come sempre, il calcio era ed è sempre stato il mio ossigeno, la mia vita, così non alla prima, ma alla seconda “proposta” del Presidente, ho accettato, prendendo i bambini dei “Piccoli Amici”. Abbiamo formato un bel gruppo, facendo un buonissimo lavoro. Mi sono messo a disposizione della società e dei ragazzi che allenavo, mettendo in pratica tutto quello che avevo imparato nel tempo da calciatore. Ho messo tutta la mia esperienza con buonissimi risultati.

Cesare Elmi Mister del Vigor Perconti

Poi sei il stato il punto di riferimento di altre scuole calcio?

Sì, dopo due anni e mezzo, sono andato via. Avevo già avuto l’offerta della Vigor Perconti di Giuseppe Masella, un ottimo responsabile, una persona che sa esplicitare e curare molto bene il lavoro e l’incarico che ricopre. Ho lavorato con lui la bellezza di quattro anni, l’ho seguito perché mi ha voluto fortemente. Io scelgo un progetto dove vogliono il mio contributo, perché sanno cosa posso dare con le mie competenze. Quando trovo una persona che mi vuole, mi gratifica, non ci penso due volte, accetto.

Il prestigioso Staff di 1vs1

Hai anche lavorato insieme ad uno Staff di grandi professionisti, ad una particolare tecnica individuale chiamata “Uno contro Uno”…

Sì, è stato Maurizio Silvestri a chiamarmi per collaborare con lui all’Uno vs Uno, una particolare tecnica individuale, sono stato con lui due anni e mezzo e la passione e la voglia di calcio è cresciuta ancora. Facevamo un lavoro molto particolare, un allenamento davvero unico.

A Maurizio Silvestri sono davvero molto grato per avermi dato la possibilità di essere inserito nel suo Staff per collaborare con lui e con tanti altri professionisti di primissimo livello, persone valide, persone che ti insegnano molto sia dentro che fuori dal campo. Per me è stato davvero un onore, ed un orgoglio aver potuto conoscere e lavorare fianco a fianco a loro, perché persone professionali del calibro di Simone Altobelli, Roberto Fois, Enrico Baiocco, Stefano Ferretti, con la partecipazione anche del figlio Francesco, Gigi Orlandini, Dino Baggio, Roberto Policano, Paolo Caputo, Claudio Solimina, Giuseppe Corsi, Fabrizio Conti e Emanuele Mancini, beh, persone di questo calibro, non le trovi molto facilmente dentro i campi a insegnare calcio vero.

Cesare Elmi al Cinecittà Bettini

E proprio grazie a Simone Altobelli, al quale mi sono legato molto sia a livello professionale, che a livello umano e di amicizia, sono rientrato da tecnico in una scuola calcio come il Cinecittà Bettini, molto importante a Roma, e lì ho creato un bellissimo rapporto sia con il Presidente Monti, che con il direttore sportivo Dario Pisani. Poi dal Bettini sono tornato alla Vigor Perconti, alla corte di Masella, dove ho un buon gruppo di bambini su cui stiamo lavorando.

Dopo avermi raccontato la tua lunga e bella storia, cosa pensi guardando con la memoria indietro nel passato?

Se mi guardo indietro, qualche rimorso c’è, ma tutto sommato non posso davvero negare di essermi divertito. Ne ho conosciuti tanti di calciatori validi, ma validi davvero, che per un motivo o per un altro non hanno ottenuto ciò che meritavano. Io ad esempio ho preferito restare vicino a casa, ho scelto la famiglia, è stata una mia decisione. Mi ritengo comunque soddisfatto, sia dal punto di vista calcistico, che come allenatore.

Hai mai pensato di allenare i ragazzi più grandi?

Premetto che sono molto appagato e soddisfatto da quello che sto facendo, però la voglia di mettermi alla prova con altre realtà c’è. Forse questo sarà l’ultimo anno che allenerò i bambini, a meno che non ci sia davvero un grande progetto, lì prenderei in considerazione l’idea di allenare ancora i più piccoli. Ho voglia di crescere professionalmente come allenatore e mi piacerebbe quantomeno intraprendere un percorso in una squadra preagonistica, perché ho voglia di confrontarmi con sfide più stimolanti. Le porte sono aperte sia con l’attuale società in cui lavoro, sia con il Bettini con cui ho mantenuto ottimi rapporti di stima e d’amicizia, o con chiunque abbia voglia di creare con me un bel progetto di lavoro, con serietà, professionalità e amore per questo splendido sport.

Un sogno per il futuro?

In questa mia crescita professionale, in futuro mi piacerebbe allenare in un settore giovanile di una società professionistica, credo che sia un po’ il sogno di tutti quelli che intraprendono questa strada, sarebbe molto bello e gratificante andare a confrontarsi con certe realtà nel mondo del calcio che conta, e nello stesso tempo sarebbe emozionante tornare su quei campi che calcavo da bambino quando avevo mille sogni nella testa.

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